Dinastie e caudillos
In Argentina e Venezuela non si riesce a evitare il ritorno di leader messianici
Internazionale 720, 22 novembre 2007
Ugo Pipitone
560 milioni di abitanti e pi ù di 200 milioni di loro in povert à. Come dire l'intera popolazione di Italia, Francia, Spagna e Inghilterra. Un paragone banale che però dà un'idea dell'ordine delle grandezze. E quindi dovrebbe essere evidente a ognuno che in America latina non c'è tempo da perdere. E invece no, ce n'è.
Con la benedizione laica di un quasi-plebiscito a favore di Cristina Fernández, l'attuale presidente argentino Néstor Kirchner lascerà l'incarico il 10 dicembre consegnandolo nella mani di...sua moglie. Gli elettori (specialmente i più poveri) hanno dato la loro approvazione al possibile inizio di una dinastia. Esattamente quello che mancava. Kirchner-marito potrà ripresentarsi alle elezioni nel 2011.
Ma su giornali e telegiornali i paragoni tra “Cristina”, Hillary Clinton, Angela Merkel y Michelle Bachelet si sprecano. Scarsi gli osservatori che registrano l'evidenza: la piccola anomalia del marito che consegna i poteri alla moglie. Non è l'Argentina il paese che ha pagato solo una generazione fa un prezzo altissimo sull'altare della fragilità istituzionale? Prima gli stregoni al potere, poi (dal 76 all'83) i militari con la loro scia di barbarie, qualche tempo dopo, recuperata la democrazia, lo stile imperiale di Menem e adesso la coppia presidenziale. Non c'è bisogno di essere eruditi costituzionalisti per capire che qualcosa non va. È la uxocrazia (o come si dica) la soluzione al problema di istituzioni con enormi squarci da dove, di tanto in tanto, passa la follia ? Non è questa una nuova forma di giocare ai dadi con un paese? In ogni modo, una sensazione minacciosa di già visto.
E dall'altra parte del continente, gli studenti che manifestano per strada il rifiuto alla nuova costituzione venezuelana che garantirebbe a Hugo Chávez una virtuale presidenza vitalizia come al suo nume tutelare Simón Bolívar nella costituzione boliviana di due secoli fa. Teodoro Petkoff, l'antico guerrigliero venezuelano, dice che il suo paese vive oggi “un'autocrazia: i poteri dello stato si concentrano in una sola persona, Chávez”. Stesso Chávez che di fronte alle proteste studentesche in diverse parti del paese reagisce come da copione: “una cospirazione fascista organizzata dalla Casa Bianca”. Questo è il bello dei padri della patria da queste parti, che possono dire cose del genere mentre alcuni dei loro fedelissimi vanno in giro in moto sparando sugli studenti incapaci di riconoscere le virt ù di questa versione “progressista” del secondo impero francese.
Due storie latinoamericane che hanno in comune qualcosa. Per dirlo in fretta: i guasti (in diverso grado di processo in Argentina e Venezuela) del personalismo. Istituzioni e societ à che non possono evitare il ritorno periodico del leader salvifico. Ed è fin troppo ovvio il legame di lunga durata tra istituzioni traballanti e una povert à di massa che si trasferisce da una generazione all'altra. Senza ripetere quello che diceva Brecht sui popoli che hanno bisogno di eroi, resta una domanda: si pu ò uscire dall' arretratezza con istituzioni del genere? L' imperialismo , la globalizzazione e via dicendo avranno anche le loro colpe, ma non tutte.
La storia come fatalit à : i l leader che incarna il futuro e che finisce regolarmente per irrigidire attorno a sé strutture istituzionali già tradizionalmente malferme. Ed ecco avviato il circolo vizioso che indebolisce ancora di più la capacità sociale di organizzazione e riduce la pressione capace di esigere istituzioni decenti e riforme profonde. Una antica frammentazione sociale che, mentre i leader vanno e vengono, si conserva e si rinnova.
La letteratura latinoamericana ha consegnato pagine memorabili (ricordiamo solamente il Ricorso del metodo di Alejo Carpentier) sui danni che lasciano nei corpi e nelle teste le personalit à che espropriano intere societ à della loro capacit à di dibattere, entrare in conflitto e costruire consensi credibili. Ma la “coscienza letteraria” non si trasferisce a quella politica in forma automatica. Il redentore aspetta sempre il suo turno, che probabilmente arriver à . L ì si è inciampato nel passato e l ì si continua ad inciampare.
Il populismo latinoamericano è un albero sempre verde capace di convertire la storia di paesi interi in una telenovela tra sambodromo e tragedia greca. Autolesionismo ricorrente? Bisogno di concentrare in un individuo tutte le virt ù richieste per raddrizzare il mondo? Scarse radici sociali dei partiti? Fragilit à dello stato? Urgenze di una povert à di massa che a volte si fa rumorosa? Culto personale come requisito per superare frammentazioni e interessi dispersi? Sì forse, questo e altro.
Ma le conseguenze sono quasi sempre devastanti. Da una parte, istituzioni che diventano bottini politici attorno ai quali prolifera la corruzione mentre le grandi cause diventano un passaporto ideologico al cinismo di stato e all'impunit à. E dall'altra, la memoria mitizzata del patriarca -Vargas, Perón, Cárdenas, ecc.- come un esorcismo culturale verso sconfitte non capite.
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