In Messico si dice: vivere fuori dal bilancio pubblico è vivere nell'errore. Seguendo la stessa linea, potremmo aggiungere che vivere fuori dai riflettori è un altro sbaglio imperdonabile. Hugo Chávez sarebbe certamente d'accordo con la seconda massima e forse anche con la prima.
Lasciamo da parte i frequenti viaggi al capezzale di Fidel (alla ricerca dell'investitura a delfino emisferico?) e la storia di RCTV le cui trasmissioni sono state silenziate il 27 maggio. Oggi, nei preparativi della prossima riunione tra Putin e Bush all'inizio di luglio, il presidente venezuelano ha trovato il modo di riconquistare i riflettori. Come? Comprando da 5 a 9 sottomarini (convenzionali) russi che dovrebbero presidiare le acque attorno ai pozzi petroliferi nel mare dei Caraibi. I dettagli dell'operazione si fisseranno a Mosca il giorno prima che Putin prenda l'aereo per andare a trovare Bush nel Maine. Risultati al momento: diplomatici americani furibondi, Putin soddisfatto di riaffermare la propria autonomia e il diritto ai propri alleati e Chávez, presumibilmente, in brodo di giuggiole.
Fino ad ora il Venezuela ha comprato alla Russia 24 caccia, una cinquantina de elicotteri (da trasporto e da combattimento), sistemi di difesa aerea e centomila AK-47. E negli ultimi anni è diventato uno dei grandi compratori mondiali di armi e il maggiore in America latina.
Hugo Chávez lo ha detto: andiamo verso “la costruzione del socialismo del 21° secolo”. Cos ì . E uno, forse ingenuamente, si chiede cosa c'entrino tante armi con il socialismo del 21° secolo. Non è il caso di soffermarsi sulla parola “costruzione” che produce in una mente circospetta l'immagine dell'ingeniere con tutti i piani in testa e una moltitudine di muratori disciplinati. Lasciamo da parte anche i sospetti sulla foga oratoria e sul senso assegnato alla parola “socialismo”. Resta il fatto che, nello spirito di Moretti, si potrebbe dire che era ora che qualcuno a sinistra pensasse anche alla lunga durata oltre che alle prossime elezioni.
Per ò poi, avvicinandosi al socialismo del 21° secolo, uno si imbatte quasi subito in un miscuglio di populismo latinoamericano di vecchia data con qualche apporto di socialismo reale. Sar à anche il socialismo del 21° secolo ma certamente non è nuovo. Siamo sempre prigionieri di idee logorate dal tempo, ma nel caso di Hugo Chávez questa condizione di prigionia culturale in un passato non capito, ha qualcosa di inquietante. E inevitabilmente si fa strada il sospetto che il futuro annunciato sia la riedizione, in versione petrolifera, di un passato gi à sconfitto.
Mescoliamo tutto: molti soldi, cultura patriottica fatta di manicheismi virtuosi, sprezzo per la democrazia e le sue regole dopo tanti anni de averla vista al lavoro in Venezuela, marxismo di paccottiglia del tipo “Cristo è stato il primo socialista” e simili e infine un militare nazionalista che annulla attorno a sé qualsiasi possibilit à di dissenso. Lasciamo condensare e avremo un ritratto non del tutto falso di Hugo Chávez.
Un secolo e mezzo fa, dopo aver ascoltato con pazienza a Bakunin, finalmente Marx no ce la fece piú e, con un colpo su tavolo, sbott ò : “l'ignoranza non ha mai fatto bene a nessuno”. Soprattuto se l' ignoranza prende le forme della nostalgia verso una doppia sconfitta, quella del socialismo reale e del nazionalismo populista. Ogni generazione ha il diritto ai propri errori, non ha il diritto di ripetere quelli dei nonni. L'ottimismo rivoluzionario non è, sempre e necessariamente, una cura efficace contro i mali del mondo.
Il Venezuela aveva e ha bisogno di due cose: istituzioni credibili e un capitalismo “decente” come, detto tra parentesi, quello che contribuirono a creare algune migliaia di emigranti italiani con le loro piccole e medie imprese negli anni 50 e 60. Invece di regole rispettate e di una classe politica rispettabile, capi provvidenziali: cronaca antica di un disastro economico e civile che si rinnova ciclicamente.
Con istituzioni fragilmente consolidate nella coscienza collettiva e nei comportamenti, il leader del momento può diventare (in questo caso è diventato) incarnazione dei destini della patria e le nazionalizzazioni e gli armamenti diventano un termometro dei suoi umori. Ma gli scricchiolii cominciano a sentirsi: l'inflazione si avvicina al 20%, il cambio ufficiale del bolívar è di duemila por dollaro; al mercato nero quattromila. Le missioni bolivariane che portano assistenza medica alle popolazioni marginali (compito che le istituzioni avrebbero dovuto assumere decenni orsono) beneficiano persone obbligate a spendere ore della propria giornata a trovare sul mercato beni di prima necessitá che scarseggiano ai prezzi ufficiali. Avvisaglie di un'economia che allunga le distanze tra la realtà e l'ottimismo ufficiale e che tende a riempire il vuoto con una maggiore tentazione alla fuga in avanti.
Lula in Brasile e Bachelet in Chile cercano faticosamente di trovar un cammino che, senza isolarsi dal mondo (ma loro no hanno petrolio) né dalla democrazia, coniughi crescita, mobilit à sociale e lotta contro la miseria. Non è una strada facile né libera di buche, per non parlare degli errori del guidatore, le opportunit à perse, le timidezze inspiegabili, ecc. Ma Hugo Chávez preferisce le scorciatoie. E il bisogno venezuelano di una politica pi ù pulita e pi ù attenta alla gente diventa, nelle sue mani, la promessa di un “socialismo del siglo 21” . E molti lo prendono sul serio.
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