La obsolescencia sintomática

Ugo Pipitone

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In America latina si ha spesso l'impressione che tutto sia a punto di cambiare da un momento all'altro. Normalmente è un'illusione ottica. Due secoli fa Alexander Humboldt si meravigliava di fronte a corruzione e miseria di queste parti del mondo. Da allora tutto è cambiato ma se uno dovesse descrivere l'America latina d'oggi quali altre due parole userebbe, per semplificare all'osso, se non corruzione e miseria? Ma la continuit à ha molte forme. Troppo spesso questa è ancora terra di belle bandiere, dove non si tratta di costruire consensi viabili (il Cile è lontano) ma di vincere in nome di una virt ù esclusiva. Mancher à il pane, ma il condottiere illuminato, mai. Con una sentenza di sapore biblico, Brecht diceva: disgraziati i popoli che hanno bisogno di eroi. Noi, sembrerebbe, non possiamo farne a meno.

E adesso questo intreccio di irresponsabilit à di stato, ambiguit à e personalismi che rischia di far perdere pi ù vite di quante si perdano tutti i giorni in uno dei posti del mondo -Colombia, Venezuela ed Ecuador- in cui la povert à tocca tra la terza parte e la met à della popolazione secondo dati della Cepal (Commissione economica per l'America latina delle Nazioni unite).

L'Ecuador ha rotto le relazioni diplomatiche con la Colombia e ha ordinato alle sue truppe di convergere sulla frontiera colombiana. Il Venezuela richiama in patria il personale diplomatico a Bogotá e il presidente Chávez fa del suo programma televisivo settimanale una sceneggiata con ordini in vivo (cio è in diretta televisiva) di muovere le truppe ai confini con la Colombia. Contrastando il rullo dei tamburi, Teodoro Petkoff, l'antico guerrigliero venezuelano, ricorda che oltre che irresponsabili le mosse televisivo-militari di Chávez sono elettoralistiche, dopo la sconfitta del referendum del dicembre scorso che avrebbe dovuto confermare la sua eternit à al potere.

Suppongo che siano pochi a non deprecare il fatto che, per colpire uno dei massimi dirigenti delle Farc, la Colombia violi le frontiere con l'Ecuador. Ma come non chiedersi cosa faceva in Ecuador, apparentemente indisturbato, un gruppo armato delle Farc? I terroristi dell'Eta sono perseguiti attivamente anche in Francia. Da queste parti è diverso. Perché?

I documenti fino a questo momento diffusi dal governo colombiano e suppostamente trovati in possesso di Raúl Reyes (numero due delle Farc ucciso nell'operazione colombiana in territorio equatoriano) sembrano suggerire qualcosa di pi ù di una vaga simpatia da parte dei governi di “sinistra” dell'Ecuador e del Venezuela verso la guerriglia colombiana. Organizzazione che, ricordiamo, l'Unione Europea dichiara terrorista dal 2002. La carte di Reyes confermano quello che si sapeva: le Farc cercano il riconoscimento di uno statuto internazionale di belligeranza puntando su quelli che il numero due delle Farc chiama governi amici.

Dopo aver dichiarato Reyes un “buon rivoluzionario”, Chávez osserva un minuto di silenzio alla sua memoria. Correa (il nuovo presidente dell'Ecuador) dichiara: “Non accetteremo che, con il pretesto della lotta contro quello che chiamano terrorismo, si imprimano dottrine di mancanza di rispetto alla sovranit à degli stati”. Correa ha ragione, ma cosa significa “quello che chiamano terrorismo”? Come chiama lui un'organizzazione che assassina, sequestra, si finazia con il narcotraffico ed è ricordata dai contadini che hanno vissuto sotto il suo controllo come un incubo di arbitrariet à e soprusi? Daniel Ortega, presidente del Nicaragua, dichiara Reyes suo “fratello”. Grazie a Dio, Bin Laden non è latinoamericano.

Bisogner à pur dirlo che (con poche eccezioni) da queste parti del mondo non c' è solo un problema di classi dirigenti con scarso senso dello stato (per non parlare di coesione sociale) ma anche un drammatico ritardo culturale della sinistra. Sono di “sinistra” le Farc? A nome della “sinistra” Cuba fa dell'URSS dei tempi di Brezhnev un modello di futuro. In Colombia una narco-guerriglia “marxista”. In Venezuela, Hugo Chávez che trasforma il sogno autoritario cubano in un delirio personalista. In Bolivia ed Ecuador una sinistra al governo che fa delle materie prime la leva per uscire dall'arretratezza come se esistesse al mondo un solo paese che sia riuscito a farlo partendo dalle materie prime. In Messico, un presidente “legittimo” (López Obrador) che non pu ò accettare la sua sconfitta elettorale e fa tutto quel che puó per radicalizzare uno scontro politico che il paese non vuole. E in Nicaragua, Daniel Ortega, che continua imperterrito nella logica di “uno, due, molti Vietnam”. Qualcosa non va per il verso giusto.

Purtroppo il ritardo culturale di una sinistra fuori dai tempi del mondo, non è un tema salottiero ma un ostacolo gigantesco che non contribuisce a migliorare la vita della gente e che, oltre a conservare in vita i sogni sconfitti del passato, oggi fa della (sempre troppo facile) passione patriottica un volgare gioco di legittimazione automatica.